La Zattera della Medusa

LA ZATTERA DELLA MEDUSA
Theodore Gèricault, ca 1819; olio su tela, 491x716
Parigi, Museo del Louvre

Per la sua opera più ambiziosa, la Zattera della Medusa, Gericault si ispirò ad un tragico fatto della cronaca contemporanea. Nel giugno 1816, in seguito al naufragio della nave Medusa, al largo dell’Africa occidentale, solo 15 passeggeri dei 150 partiti sopravvissero alla fame, alla sete e al sole e su di loro pesò anche il sospetto di cannibalismo.
Gericault, per rappresentare la vicenda, scelse uno dei momenti più carichi di tensione drammatica, quando i naufraghi avvistano una nave all’orizzonte, cercando disperatamente di farsi notare.
Per la realizzazione dell’opera lesse i  resoconti della vicenda, interrogò i sopravvissuti, viaggiò per mare per osservare gli effetti delle onde, frequentò gli obitori per ritrarre dal vero membra contratte dei defunti e fece inoltre costruire un modello della zattera. L’artista parte dalla cronaca, ma non la ricostruisce fedelmente. Eliminando alcuni elementi più legati a quell’episodio, rende universale la scena e realizza così una sintesi tra fedeltà al vero e intento ideale.
L’ardita rappresentazione è basata su un groviglio di corpi, ammassati in due composizioni piramidali. Dal basso in alto i personaggi esprimono i vari atteggiamenti umani di fronte alla morte, alla sofferenza e alla speranza. In primo piano giacciono i morti; un uomo, volgendo lo sguardo all’orizzonte, sorregge il cadavere del proprio figlio. In secondo piano sono ritratti coloro che, ormai prossimi alla fine, trovano comunque l’energia per rialzarsi e per gettare un ultimo sguardo in lontananza. L’insieme dei gesti e degli sguardi crea un movimento ascendente che culmina nella mano dell’uomo che, ancora in forze, riesce ad agitare un drappo per attirare l’attenzione dell’equipaggio della nave all’orizzonte. Il senso d’orrore della scena è rafforzato inoltre dall’uso del colore, che rende evidente il pallore dei cadaveri e il grigio plumbeo delle onde del mare. L’opera venne letta in chiave politica e i conservatori la criticarono aspramente perché ritenevano che volesse rappresentare la crisi francese dopo il crollo napoleonico.
La Zattera della Medusa, che fu accolta male in Francia, venne considerata a Londra come il manifesto della scuola romantica che si opponeva alla cultura neoclassica.

Il Giuramento degli Orazi

Il Giuramento degli Orazi  
 (1798, olio su tela, 330x425 cm.)
L’opera fu realizzata su commissione del re di Francia e l’anno seguente venne presentato al Salon, l’esposizione di opere di artisti contemporanei che si teneva periodicamente a Parigi.
Il soggetto è scelto dalla Roma monarchica quando, durante il regno di Tullio Ostilio, i tre fratelli Orazi, romani, affrontarono i tre fratelli Curiazi, albani, per risolvere in duello una contesa sorta fra Roma e la rivale città di Albalonga. I tre Curiazi morirono e uno solo degli Orazi si salvò decretando la vittoria della propria città. Il soggetto rappresenta le virtù civiche romane e David le propone agli spettatori perché l’esempio spinga all’emulazione. In coerenza al pensiero neoclassico, non mostra il momento cruento del combattimento ma, immobilizzando i personaggi, sceglie di rappresentare quello supremo del giuramento che precede l’azione.
La scena si svolge nell’atrio soleggiato di una casa romana. L’impianto prospettico è sottolineato dalle fasce marmoree che racchiudono riquadri di pavimento in laterizio. I personaggi sono distinti dalle arcate sorrette da colonne doriche lisce: due gruppi sono incorniciati dalle arcate estreme, mentre il vecchio padre si erge nel mezzo, isolato, consapevole di mettere a repentaglio la vita dei figli chiedendo loro il giuramento “o Roma o morte”. Il rosso del mantello, richiamando su di lui la nostra attenzione, lo individua come personaggio chiave della rappresentazione mentre leva in alto le spade lucenti che, successivamente, consegnerai figli. È proprio in quella mano che stringe le armi che i nostri sguardi e i raggi prospettici convergono. A sinistra i tre fratelli, uniti da un abbraccio e con le braccia protese verso il padre, giurano solennemente. A destra le donne meste e mute sono abbandonate nel dolore e nella rassegnazione. In posizione più arretrata la madre copre con il velo scuro i suoi due figli più piccoli, mentre la figlia Sabina, si volge verso la cognata Camilla.

Monumento Funebre a Maria Cristina

MONUMENTO FUNEBRE A MARIA CRISTINA D’AUSTRIA
Antonio Canova, 1798 – 1805. Vienna, Augstinerkirche

Nel 1798 il duca Albert von Sachsen-Teschen commissiona a Canova un monumento per onorare la consorte, l’arciduchessa Maria Cristina d’Austria, morta pochi mesi prima. Canova concepì il mausoleo addossando alla parete una grande piramide (il più antico monumento funerario), elevata su tre gradini, con un varco nel mezzo verso il quale incede un mesto corteo di figure, la principale delle quali, la Virtù, avvolta in un’ampia e morbida veste, con il capo abbassato reca il vaso con le ceneri della defunta. Due ancelle ai fianchi reggono le estremità della ghirlanda di fiori che scende dall’urna. Dietro di loro la Beneficenza (o Pietà), personificata da una giovane donna, regge sotto il braccio un vecchio che si appoggia a un bastone. Per raccordare i due gruppi di figure Canova inserì un tappeto, impalpabile come un velo d’acqua che, disteso obliquamente sui gradini, esce dalla porta buia del sepolcro e unisce il mondo dei vivi con quello dei morti. Sul lato destro, a osservare la commovente processione, sta un Genio funerario alato che si appoggia in sconsolato abbandono a un leone accovacciato, silenzioso guardiano dell’ingresso. A ricordare la defunta vi sono un’iscrizione dedicatoria posta sopra la porta e un medaglione in rilievo con il ritratto in profilo incorniciato da un serpente che si morde la coda, arcaico emblema dell’eternità, sorretto dalla Felicità cui va incontro un genietto alato che porge un ramoscello di palma.
In quest’opera Canova riesce a fondere assieme l’idea pagana e quella cristiana della morte, in una nuova e mirabile meditazione sul lento e ineluttabile procedere dell’umanità verso la soglia eterna. La presenza di personaggi giovani e vecchi sta a significare che la morte, secondo disegni a noi misteriosi, possa cogliere gli uomini di tutte le età.
Il tema della morte fu uno dei più sentiti nella cultura neoclassica, e non poche sono le affinità tra Dei sepolcri di Ugo Foscolo e i soggetti funebri di Canova. In particolare, i soggetti seguono due temi principali, quello del monumento civile ad un personaggio celebre, come il monumento a Vittorio Alfieri (1806-1810, Santa Croce, Firenze), e quello, più intimo, del ricordo di un familiare scomparso, come la stele di Giovanni Volpato (1805-1808, Sant’Apostoli, Roma).

AMORE e PSICHE